L’angolo di Antonio Di Muro, LA NUOVA LEGGE ELETTORALE E’ DAVVERO UNA PRIORITA’?

Tutti a dire: la legge elettorale è una priorità. Lo è per il Governo Letta, per tutti i partiti e sindacati, per  i vari organismi di categoria e per tutti i parlamentari singolarmente considerati. Sulle prime pagine dei giornali la presunta priorità della nuova legge elettorale campeggia in bella evidenza. Nessuno si sottrae a fare dichiarazioni contrarie. Anzi, spesso è il tema per farsi un po’ di propaganda mediatica. Ma, è proprio così? Riteniamo che il popolo percepisca il tema in modo diverso, con un atteggiamento di sostanziale indifferenza, posto che ha prima di tutto un problema di sopravvivenza. La situazione economica e sociale del Pese è così grave da richiedere prima di tutto dibattiti sul modo per  uscire dalla crisi e sulle relative proposte operative.  Anche la legge di stabilità è finita nelle retrovie del dibattito politico, eppure è quella che delinea il futuro economico nazionale, è quella che potrebbe dare  uno scossone, uno choc, come si dice, all’economia e farla ripartire.  Che la legge elettorale sia argomento importante è fuor di dubbio. Che si intenda tornare al metodo delle preferenze per far scegliere ai cittadini i loro candidati è sacrosanto e legittimo. Ma, attenzione, si rischia di tornare all’indietro, se non si vanno bene tutte le valutazioni dì’assieme. Non bisogna scordare che il Porcellum è nato proprio dall’abolizione delle preferenze, che procuravano malcostume, sperperi, ruberie, appropriazione indebita di risorse e via cantando. Non bisogna scordare quanto costava la campagna elettorale ai singoli candidati, i quali, per fornirsi delle coperture finanziarie, davano vita ad intrallazzi di ogni genere, quelli che Tangentopoli ha poi scoperto. 
Anche il discorso di far scegliere i candidati in loco dalla partecipazione popolare desta qualche perplessità. Perché anche prima, di fatto, i nominativi venivano indicati dalle segreterie politiche e collocati in modo tale da avere più o meno probabilità di essere eletti. Ricordiamo, ad esempio,  le lotte nel collegio Bari-Foggia alla Camera, quando i tre big della politica democristiana, Aldo Moro, Vito Lattanzio e Vincenzo Russo, si contendevano la posizione di capolista. Una volta riuscì a spuntarla Vincenzo Russo, allora segretario nazionale  organizzativo del partito, e fu bagarre.  Anche con le preferenze individuate a livello locale ( ma, talvolta, anche dal centro imponevano candidature: per tutte ricordiamo il pittore Renato Guttuso per il PCI nel collegio senatoriale di Lucera.  Si corre il rischio di dare vantaggio ai più forti, a quelli che hanno spazi più ampi per potersi finanziarie. Il che significa, tradotto in soldoni, che è la preferenza  finanziariamente più sostenuta ad avere la meglio. Come dire, che si possono affermare solo  quelli più ricchi.  Con l’abolizione del finanziamento ai partiti, la situazione diventerà ancora più complicata, perché andrà a finire, se il provvedimento andrà in porto, che potrà fare politica solo il ricco Silvio Berlusconi. Dunque, bisogna stare attenti a non tornare indietro, come sembra profilarsi da parte di alcuni big della politica.  E capire che la legge elettorale non basta a risolvere i problemi, se non viene accompagnata da una riforma costituzionale, che è quella che può apportare benefici di snellimento delle procedure, sburocratizzare e mettere nel bilancio dell’economia preziosi risparmi da destinare allo sviluppo.

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