FINALMENTE POSSIAMO BRINDARE COL ”CACC’ E MMITTE”

Non vi nascondiamo, amici lettori, che abbiamo provato un brivido di emozione quando abbiamo rivisto in circolazione il nostro “Cacc’ e Mmitte” , che, come sapete,  ha dovuto superare una crisi gestionale di ampie proporzioni, sino a sparire dal mercato. Ora le Cantine svevo hanno preso in mano la gestione, col fermo proposito di far tornare il nostro vino agli eccellenti livelli di produzione e di collocamento di alcuni anni fa. Non sarà facile, perché i concorrenti hanno approfittato della sua assenza per introdurre i loro prodotti che, benché  non paragonabili in tanti casi in termini di gusto e di qualità organolettiche col “nostro”,  sono in qualche maniera riusciti a recitare il ruolo di pietosi soccorritori obbligati. Ovviamente, spetterà prima di tutto alla popolazione lucerina dimostrare il suo attaccamento al vino di produzione locale, come dire fare di tutto per determinare una ripresa dei consumi che possa non solo giustificare  il forte impegno imprenditoriale, ma anche quello a difesa di una organizzazione che, in qualche maniera, più definirsi istituzione della città.  Il “Cacc’ e Mmitte” è un vino che proviene dai nostri avi,  i quali riempivano le grandi botti di legno delle cantine, che lo vendevano sfuso (al minuto)  nelle bottiglie da litro.  Era l’orgoglio dei nostri viticultori, che spesso facevano a gara nel preparare una produzione in proprio che fosse migliore di quella del vicino di vigna.  Ricordiamo le vecchie cantine, di Corso Garibaldi, Piazza Carmine, Via Quaranta, che sprigionavano un odore soave tale da “ubriacare” letteralmente i passanti, in una epoca in cui il traffico veicolare era quasi nullo. 
 Fu la Cantina dell’Ente di Riforma a mettere insieme i suoi soci produttori e a fare sistema, nel senso di raccogliere direttamente le uve e di trasformarle in loco.  La tappa importante fu quella dell’imbottigliamento a Lucera, dopo che questa fase finale era stata affidata ad una industria del bergamasco.  Poi, tutta la filiera venne realizzata nella stessa Cantina, con grande soddisfazione dei soci e, soprattutto, del presidente, quel don Peppino Di Giovine, che della Cantina era custode, difensore, trascinatore. La qualità del vino venne subito apprezzata sui mercati nazionali, come dimostrano i primi premi conseguiti al Vinitaly di Verona, che è una vetrina internazionale. Un riconoscimento che non passava attraverso i comprensibili appoggi e passaggi della politica, di quella politica che ti fa vincere anche quando non lo meriteresti. Il “Cacc’ e Mmitte” è andato avanti con le proprie gambe, senza chiedere valutazioni che in qualche maniera  potessero far sorgere sospetti di aiuti sottobanco. Anche dal punto di vista finanziario occorre ripartire alla grande, perché chiudere è semplice, ma ricostruire è difficilissimo, perché bisogna anche ridare equilibrio all’economia aziendale. 
E lo si può fare incrementando gli acquisti, che devono far recuperare gli spazi perduti e, nel contempo, aprire nuovi varchi in un mercato molto affollato per l’abbondante produzione meridionale, e, diciamolo, anche per la buona qualità complessiva dei nostri prodotti.  Non lasciamoci ancora dire che noi lucerini non sappiamo difendere il nostro patrimonio, come ci è stato rinfacciato in occasione della chiusura del tribunale, del ridimensionamento dell’ospedale, della chiusura dell’Equitalia e di altro. Gli imprenditori che si sono messi in discussione - sapendo di affrontare una situazione difficile - hanno  dimostrato di voler bene a questa città. Ora tocca a noi non deluderli, ma soprattutto non deludere il “Cacc’ e Mmitte”, il nostro vino, quello che è patrimonio ormai della città, quello che appartiene alla eredità dei nostri padri.  Brindiamo, dunque, col nostro vino, un brindisi che, però, deve essere accompagnato da un forte impegno di tutti per la sua sempre più ampia e capillare diffusione.

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