IL SANTO FRANCESCANO DI LUCERA HA FATTO NASCERE LA PRIMA BANCA DEI POVERI

IL PADRE MAESTRO 
Forse la decisione del Vescovo di Lecce, Mons. Domenico D’Ambrosio,  di  istituire un sistema di aiuto diocesano a tasso zero a sostegno delle piccole imprese del territorio  è considerata un intervento di novità assoluta, nel senso che sarebbe la prima volta che un ente religioso si inserisce in qualche maniera nel sistema creditizio ordinario per dare una mano a quanti si trovano in condizioni di difficoltà in questo momento di crisi generalizzata. Non è così. Già circa tre secoli fa , ci fu una iniziativa del genere, allora sorprendete e ritenuta rivoluzionaria, dato che fu un  santo francescano conventuale di Lucera (Fg) a far nascere la prima banca dei poveri, una banca francescana, appunto, che operava all’interno dello stesso convento, che vide  operare questa singolare figura: il San Francesco Antonio Fasani (1681-1742), che i lucerini chiamano tuttora il Padre Maestro, anche per la sua eccellente dottrina teologica e di formazione, un maestro, appunto,  che al tempo  fu un riferimento importante per la  Chiesa meridionale. Ebbene, il Padre Maestro ritenne che fosse superato il semplice intervento caritativo, che si esauriva nel momento stesso in cui si veniva soddisfatta l’esigenza per la quale era stato chiesto. Bisognava  andare al di là di questa situazione consolidata, anche perché le fonti di finanziamento dei benefattori potevano prosciugarsi. Ed ecco “inventata” la banca francescana, una sorta di banca cooperativa moderna, all’interno della quale, anche se non formalmente, agivano gli stessi benefattori e concedeva prestiti a quelle piccole attività che non avevano ossigeno creditizio ortodosso, tradizionale, perché troppo deboli strutturalmente in linea capitale. San Francesco Antonio Fasani, che si rivelò anche un ottimo manager, concedeva i prestiti, ma con l’obbligo di restituzione non appena l’attività era in grado di farlo.
 Perché? Perché quei prestiti costituivano il capitale circolante che, a turno, doveva esaudire anche altre richieste.  Insomma, le piccole aziende artigiane e commerciali dell’epoca veniva sostenute e rilanciate, ma dovevano, poi, utilizzare parte dei loro utili per la restituzione del prestito, anche se a tasso zero.  Singolare per quei tempi i criteri di gestione. Oggi sembrerebbe una banca cooperativa o popolare moderna, che, appunto, svolge la sua attività seguendo, grosso modo, questi criteri. C’è di più. Il Padre Maestro, come ci fanno sapere le cronache dell’epoca, seguiva personalmente le attività finanziate, ad evitare che qualcuno potesse pensare di farla franca nella restituzione.  Con il Padre Maestro anche la banca dei poveri ha cessato di vivere. Si, d’accordo, ora si fa la solita attività  caritatevole, ma non è la stessa cosa. Dunque, il Padre Maestro si è rivelato davvero un religioso di avanguardia. Peccato, che la sua opera in questo comparto non abbia avuto seguaci. La sua esperienza risale a circa tre secoli fa.  Ora da noi le banche territoriali nascono (e talvolta spariscono per incorporazione) senza assistere le piccole e medie attività, ma per ingrassare e ingrossare i grandi gruppo creditizi del Nord. Succede al Sud. Certamente  dispiacerà a San Francesco Antonio Fasani, il Padre Maestro, il canonizzato dei poveri.  
a.d.m.

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